Condurre una Terapia di Gruppo
Una delle questioni poste dall’inizio sulle terapie di gruppo è :
A che servono e come si differenziano da una terapia individuale? per quale motivo è stato concepito uno spazio terapeutico diverso?
La psicoterapia e la psicoanalisi e poi le successive modalità di intervento, sono nate come terapie individuali dove l’individuo che aveva una disagio o voleva ampliare le sue capacità adattive cercava nello spazio terapeutico duale la via per raggiungere dei risultati evolutivi e per risolvere le proprie difficoltà e traumi.
I precursori, primi sperimentatori delle terapie di gruppo erano inizialmente contrari ad esse, ad esempio Jung, avendo come obiettivo principale il così detto lavoro di individuazione, vedeva nella collettività, nella massa, nei gruppi la tendenza ad omologarsi, cioè vedeva i gruppi come capaci di inibire la differenziazione psicologica e personale.
All’inizio anche Freud era scarsamente interessato ai gruppi.
Molti teorici sostengono che la diffusione dei lavori di gruppo è andata di pari passo con l’evoluzione sociale. Infatti si è visto come la società e la cultura via via si sono orientati verso la circolarizzazione dell’informazione, verso il confronto sempre più intenso tra i gruppi, le masse, le associazioni, i partiti, la cultura, la politica….
Dal punto di vista clinico, la cosa che ha avuto più importanza è stata la possibilità di confrontarsi con altri pari sulle proprie difficoltà. Il gruppo si è configurato come un contenitore, capace, con modalità differente da quella di un terapeuta individuale, di contenere emozioni, difficoltà, attivare risorse, e permettere ai singoli di immedesimarsi in alcune difficoltà.
Più di 20 anni fa quando ancora esistevano i centri di igiene mentale e si iniziavano ad introdurre le attività di gruppo con i malati gravi, si evidenziava come l’attività gruppale creava un contenitore psicologico che dava la possibilità anche ad un malato grave di interagire, quindi c’era una capacità di interazione fra gli individui più fluida rispetto al sedersi in due. Non và dimenticato comunque che il terapeuta nella situazione di gruppo lavora molto di più. Gestire una dinamica di gruppo è meno semplice dell’interfacciarsi con una persona.
Il gruppo è uno spazio all’interno del quale si possono anche vivere gli aspetti simbolici, l’azione ad esempio, cosa che nella terapia individuale non avviene. Su questo bisogna anche riflettere, infatti in gruppo succede che c’è qualcuno che si alza e va a discutere con un altro, nella terapia individuale questo non accade, salvo che per le corporee dove anche l’i il corpo è in movimento ed anche per la terapia della gestalt dove c’è la tecnica “della sedia vuota” il corpo oltre che a comunicare agisce.
L’azione è molto importante perché offre tante informazioni in più. Il gruppo è come un caleidoscopio, offre varie situazioni possibili nelle quali rispecchiarsi.
Il gruppo va vissuto come spazio che integra la terapia individuale e permette ad un individuo di rimettersi in gioco in uno spazio più ampio e libero dove le possibilità sono potenzialmente maggiori.
Il primo problema che l’azione pone però nel gruppo, è che essa a volte non è portatrice di significati veri cioè cambiamenti possibili, a volte non vi è sperimentazione a volte c’è un azione non consapevole quasi apparente, recitativa, a volte ci si muove ma non si è dentro l’azione….
Il problema quindi è insito nel fatto che all’azione si dà per scontato che corrisponda un cambiamento o un livello di maggiore consapevolezza, ma bisognerebbe sapere quando si è pronti o no. Se pensiamo per esempio ad una personalità un po’ istrionica o una con atteggiamento isterico, nel gruppo queste personalità continuano l’azione, possono passare passare mesi ed anni senza fare alcun che, in questi casi mobilitare la capacità di contenere il movimento sarebbe più importante di aumentare la capacità di agire. Quindi la cosa importante di un terapeuta è di conoscere i propri pazienti e saper individuare le diverse problematiche proprio per poter interagire in modo flessibile e diverso a seconda della persona.
Un buon terapeuta in gruppo deve:
“più che guardare all’azione come macro movimento” guardare le piccole cose, le piccole emergenze non verbali, i movimenti delle mani..il viso, la respirazione, visto che sui piccoli elementi si può recitare meno, sull’azione si può drammatizzare molto ma non arrivare a nulla.
Quindi il compito del terapeuta è di non lasciarsi imprigionare dalle grandi attività del gruppo.
Altra cosa importante è che il gruppo è come una famiglia, ci si distribuisce dei ruoli, ognuno si ricava uno spazio anche per un problema che ha o una sensibilità, altre volte è il gruppo che glielo attribuisce anche per fraintendimento, così ci si adatta;
Young aveva ragione e diceva: i gruppi e le masse tendono a codificare i ruoli e nascondere le differenze. Per questa ragione bisogna stare attenti ai ruoli perché se si è imprigionati in essi (nei gruppi si sviluppa il “doppio legame” molto forte dove il gruppo cerca di trattenere) non ci si può sviluppare. Per ogni partecipante del gruppo è molto importante avere uno spazio ampio di azione.
Un altro problema per un conduttore di gruppo e la scelta di un metodo direttivo o meno?
La Gestalt ad esempio è più direttiva, il conduttore segue “passo passo” il gruppo ed ha un ruolo centrale. La scelta per il conduttore dipende anche dalla sua personalità.
Un problema che però la terapia direttiva pone è che:
“ più è direttiva e più dura”; Visto che crea più dipendenza, “il membro di una famiglia ha maggiori difficoltà a svincolarsi da una figura autoritaria significativa”. Seguendo il Principio dell’Individuazione si comprende che nei gruppi direttivi, si fa molta più fatica a sganciarsi e sviluppare una propria autonomia, lo stato della dipendenza è più complesso da ridurre fino a portare a una indipendenza sufficiente.
Tra i limiti di un gruppo direttivo però, non bisogna dimenticare i vantaggi su persone con gravi difficoltà di immobilità nella vita, come un depresso, o una persona con un livello scarso di autostima o bassa attivazione di sé è molto utile che ci sia un conduttore che stimoli, che provochi sapendo dosare questi ingredienti.
Ma più i mezzi sono potenti più sono pericolosi!! Un paziente con patologie gravi in un gruppo senza pazienti gravi è abbastanza pericoloso, perché non solo si rischia di far saltare le varie compensazioni, si rischia la disgregazione dell’intero gruppo.
Il paziente grave, se non contenuto in modo adeguato dal terapeuta, rischia di far sentire l’intero gruppo non contenuto, perché se un solo paziente non è stato contenuto dal terapeuta anche gli altri partecipanti si sentiranno insicuri del contenitore, non coperti.
Anche le Difese sono molto importanti in un gruppo, infatti bisogna sapere se si ha di fronte persone con una buona difesa. Il terapeuta direttivo si preoccupa di fronte ad una persona che non fa resistenza, poiché non riesce a capire bene “quando và oltre il confine” del paziente. Inoltre bisogna tenere in considerazione il fatto che, non solo il terapeuta ha un influenza sul singolo ma hanno un effetto potente anche i diversi partecipanti del gruppo su ognuno degli altri del gruppo.
Se una persona non ha difese sufficienti non può filtrare prima di poter introiettare qualcosa.
Tornando al terapeuta c’è da dire che il gruppo nutre molto il narcisismo del terapeuta (da solo ha tante persone che pendono dalle sue labbra) o addirittura ne può alimentare la frustrazione.
Una buona metafora per descrivere il ruolo del terapeuta è quella del cameriere, che porta al cliente ciò che gli viene chiesto, quindi si cura di ciò che il cliente sceglie, non scegliendo quindi per lui.
In terapia quando si commette un errore ,è una situazione diversa se è il terapeuta ad avere scelto il tipo di lavoro rispetto al fatto che possa essere stato il cliente ad averlo scelto. E’ preferibile sbagliare su indicazione del cliente, piuttosto che per convinzione propria del terapeuta, poiché se è il cliente che sbaglia, il terapeuta avrà avuto una informazione importante;
invece se si sbaglia per indicazione del terapeuta non è detto che il paziente segnali l’errore.
Il narcisismo quindi, il senso di onnipotenza del terapeuta lo rende spesso troppo invadente, attivo e poco riflessivo.
La Terapia ha un principio: “Non è volta a sostituirsi ai pazienti per risolverne i problemi, ma a servire i propri clienti per fare si che man mano comprendano i loro bisogni”.
Il terapeuta non è costretto a risolvere nel qui ed ora il problema del paziente ma piuttosto deve stare in contatto con quest’ultimo per poter andare oltre il problema.
E’ un limite avere in gruppo pazienti che non fanno o hanno fatto terapia individuale, poiché potrebbero essere “scoperti” cioè dopo il gruppo non avranno il loro spazio individuale per elaborare. Non tutti i pazienti possono fare solo terapia in gruppo!!
La dinamica di gruppo e moto diversa dalla dinamica in due.
Nella terapia in gruppo non si fa terapia individuale perché si sviluppano i transfert laterali; ogni paziente ascoltando le problematiche degli altri può entrare in risonanza e si attiva nell’entrare ed uscire nelle proprie tematiche. Quindi, il terapeuta non si può dedicare solo al singolo ma deve essere attento anche al resto dei partecipanti gestendo adeguatamente i feedback. Più persone si coinvolgono e più difficile diventa gestire il gruppo.
E’ utile avere anche una personalità leggermente istrionica per condurre un gruppo, quindi capace di agire centralmente nel gruppo.
Tra le regole di una terapia gruppale c’è da considerare che non si possono avere relazioni e quindi frequentarsi fuouri dal gruppo, questo perché le dinamiche da simboliche (nel gruppo) diventerebbero reali (fuori dal gruppo).
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